

Trappola sette: finzione, tentativo di essere brave, normalizzazione dell’abnorme
“…Il problema con “l’essere brave” allo spasimo è che non risolve la sottostante questione dell’ombra, che di nuovo si solleverà come uno tsunami, come un’ondata gigantesca, e che ricadrà distruggendo tutto ciò che troverà sul suo cammino. Nell’”essere brava” la donna chiude gli occhi di fronte a tutto quanto è incallito, distorto o nocivo all’intorno, e cerca semplicemente di conviverci. I suoi sforzi per accettare questo stato abnorme ledono i suoi istinti a reagire, a sottolineare, a cambiare, a incidere su quello che non è giusto…
Lo sforzo di fare la brava, di starsene tranquilla e di essere compiacente di fronte al pericolo interiore o esterno o al fine di nascondere una situazione critica, psichica o reale, abbruttisce la donna, la rende senz’anima. La separa dalla sua conoscenza e dalla sua capacità di agire. La donna cerca di nascondere la sua fame e di fingere che nulla bruci in lei, le donne moderne soffrono di questo disordine: la normalizzazione dell’abnorme. Questo disordine imperversante nelle culture fa sì che lo spirito, che normalmente balzerebbe su a correggere la situazione, affondi nella noia, nella compiacenza, e alla fine nella cecità…
Quando una creatura viene esposta alla violenza, cerca di adattarsi, sicchè quando la violenza cessa o alla creatura è restituita la libertà, il sano istinto di fuggire è fortemente ridotto e la creatura resta dov’è.
Nei termini della natura selvaggia delle donne, questa normalizzazione della violenza, e quella che gli scienziati chiamarono poi “impotenza appresa”, inducono le donne non soltanto a restare con il marito ubriacone (o violento o indifferente o assente o traditore ecc…), con i datori di lavoro che le insultano, in gruppi che le sfruttano e le tormentano (con compagni che non amano e da cui non sono amate, con amicizie che vampirizzano la loro energia e non portano arricchimento, inerti davanti all’uso e allo sfruttamento del corpo femminile in tutti i modi possibili dai media, alla continua e costante proposta di un femminile distorto, che non rappresenta in nessun modo la bellezza, la dolcezza e l’armonia della donna) ma anche a sentirsi incapaci di imporre le cose in cui credono con tutto il cuore: la loro arte, il loro amore, il loro stile di vita, il loro pensiero politico.
La normalizzazione dell’abnorme, anche quando è chiaramente a proprio detrimento, riguarda tutti gli aspetti della natura fisica, emotiva, creativa, spirituale e istintiva. Le donne si trovano di fronte a questo problema ogni volta che sono stordite e indotte a limitarsi a difendere la loro vita-anima da proiezioni invadenti, culturali, psichiche o di altro genere.
Psichicamente, ci abituiamo alle scosse che colpiscono la nostra natura selvaggia. Ci adattiamo alla violenza fatta alla natura sapiente della psiche. Cerchiamo di essere brave normalizzando l’abnorme, e il risultato è che perdiamo la capacità di fuggire. Perdiamo il potere di influenzare gli elementi dell’anima e della vita che riteniamo preziosi. …
Si dà una tale perdita di significato quando si rinuncia alla vita fatta a mano e allora ogni sorta di ferite alla psiche, alla natura, alla cultura, alla famiglia e quant’altro ha via libera. Il danno alla natura è concomitante con l’ottundimento della psiche umana. Non sono e non possono essere considerati fenomeni distinti e separati. Quando un gruppo dice che il selvaggio è proprio storto e l’altro gruppo afferma che il selvaggio è stato distorto, qualcosa è decisamente storto. Nella psiche istintiva, la Donna Selvaggia guarda la foresta e vede una dimora per sé e per tutti gli esseri umani. Eppure, altri guardano magari la medesima foresta e la immaginano spogliata dei suoi alberi, e si figurano con le tasche rigonfie di bigliettoni. Sono gravi scissioni nella capacità di vivere e lasciar vivere, in modo che tutto possa vivere…
Quando le donne non parlano, quando non c’è un numero sufficiente di persone pronte a parlare, la voce della Donna Selvaggia tace, e tace il naturale e selvaggio nel mondo. Tacciono i canti e le danze e le creazioni. Tacciono l’amore, e le voci della consapevolezza.
Fin troppo spesso, sebbene le donne siano tutte contagiate dal desiderio di libertà selvaggia, continuano “a restare legate alle loro lavatrici” (e se ce ne allontaniamo un pochino ci sono persone, spesso donne, che fanno presente quanto ci si stia comportando male e dentro di noi si innesca inesorabile il senso di colpa!)
…Quando gli istinti sono danneggiati, gli esseri umani “normalizzano” un assalto dopo l’altro, atti di ingiustizia e di distruzione contro loro stessi, i figli, le persone amate, la loro terra e persino i loro Dei.
Si rifiuta questa normalizzazione del traumatizzante e dell’abusivo ripristinando l’istinto leso. Allorchè l’istinto è ripristinato, torna la natura selvaggia integrale…possiamo quindi tornare alla vita fatta a mano, alla vita memore, riprendere il nostro cammino, parlare con le nostre parole.
Se è vero che si impara molto dissolvendo le proprie proiezioni e guardando quanto si è gretti con se stessi, come ci facciamo male, la storia non finisce qui.
La trappola nella trappola è pensare che tutto sia risolto dal dissolvimento delle proiezioni e dal ritrovamento della consapevolezza. Talvolta è vero e talvolta no…. Ci sono una questione interna e una questione esterna… questo invita le donne a mettere in questione lo status quo con fiducia e a non guardare solamente a se stesse ma anche al mondo che accidentalmente, inconsciamente o con malevolenza fa pressione su di loro…soppesare e giudicare la responsabilità, sia interiore, sia esterna, e quanto deve cambiare, quanto dev’essere richiesto, abbozzato…
In qualche modo molte donne riescono a conservarsi in uno stato di cattività, ma vivono una mezza vita, o un quarto di vita, o persino una vita all’ennesima potenza. Ce la fanno, ma spesso sul finire dei loro giorni diventano amare. Si sentono magari disperate e di frequente, come un piccolino che ha pianto tanto senza riuscire ad ottenere il conforto di un essere umano, possono cadere in un silenzio mortale, e nella disperazione. Seguono spossatezza e rassegnazione. La gabbia si chiude…”
Donne che corrono coi lupi – C.P.Estes